Il calcio femminile è diventato da pochi giorni professionistico, secondo la legge del 1991 che affida alle singole federazioni la decisione. L’Italia è il primo paese europeo a compiere il grande passo, ma tutti gli altri sport sono ancora al palo. Anche per le cestiste di professione bisogna ancora aspettare. “Mi unisco ai peana a favore di questa novità, ma poi vediamo che i tre milioni erogati dalla legge di bilancio vanno tutti al calcio. Senza soldi non si può fare professionismo“, ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport il 29 aprile Gianni Petrucci, presidente Fip.
“Il presidente della Federazione di pallacanestro di oggi è lo stesso di quando giocavo io, quasi 30 anni fa“, aveva invece dichiarato pochi giorni prima l’ex giocatrice dell’As Vicenza nei tempi d’oro e con 178 partite in Nazionale, Stefania Passaro, che da anni lotta per i diritti delle atlete, anche attraverso Assist, l’Associazione Nazionale Atlete.
“Da ragazza mi dicevano che ero la sindacalista del gruppo – ha raccontato in una intervista a Rainews – e lo dicevano in maniera dispregiativa. Siamo ovviamente molto contente della decisione della Figc, ma questo fa emergere con ancora più evidenza la discriminazione rispetto alle atlete in altri sport. Nella pallacanestro avviene esattamente quello che fino a ieri accadeva anche nel calcio: i maschi sono professionisti e le donne no”.
“Le giocatrici di basket si allenano esattamente come i colleghi maschi – continua Passaro – hanno gli stessi ritmi e gli stessi impegni. Proprio come avviene nel calcio. Oggi come si spiega loro che continueranno ad essere discriminate, a essere lavoratrici senza diritti? Siamo di fronte a una grande ipocrisia. Perché il calcio sí e il basket no? E perché i fondi stanziati dall’ultima legge di bilancio potranno essere usati soltanto dalle società di calcio e non da quelle di basket?”.
E infine alla domanda, perché le giocatrici in attività oggi non si espongono per ottenere la fine della discriminazione? Passaro risponde duramente:
“Molte non parlano perché temono rappresaglie“.
Il calcio femminile è diventato da pochi giorni professionistico, secondo la legge del 1991 che affida alle singole federazioni la decisione. L’Italia è il primo paese europeo a compiere il grande passo, ma tutti gli altri sport sono ancora al palo. Anche per le cestiste di professione bisogna ancora aspettare. “Mi unisco ai peana a favore di questa novità, ma poi vediamo che i tre milioni erogati dalla legge di bilancio vanno tutti al calcio. Senza soldi non si può fare professionismo“, ha dichiarato alla Gazzetta dello Sport il 29 aprile Gianni Petrucci, presidente Fip.
“Il presidente della Federazione di pallacanestro di oggi è lo stesso di quando giocavo io, quasi 30 anni fa“, aveva invece dichiarato pochi giorni prima l’ex giocatrice dell’As Vicenza nei tempi d’oro e con 178 partite in Nazionale, Stefania Passaro, che da anni lotta per i diritti delle atlete, anche attraverso Assist, l’Associazione Nazionale Atlete.
“Da ragazza mi dicevano che ero la sindacalista del gruppo – ha raccontato in una intervista a Rainews – e lo dicevano in maniera dispregiativa. Siamo ovviamente molto contente della decisione della Figc, ma questo fa emergere con ancora più evidenza la discriminazione rispetto alle atlete in altri sport. Nella pallacanestro avviene esattamente quello che fino a ieri accadeva anche nel calcio: i maschi sono professionisti e le donne no”.
“Le giocatrici di basket si allenano esattamente come i colleghi maschi – continua Passaro – hanno gli stessi ritmi e gli stessi impegni. Proprio come avviene nel calcio. Oggi come si spiega loro che continueranno ad essere discriminate, a essere lavoratrici senza diritti? Siamo di fronte a una grande ipocrisia. Perché il calcio sí e il basket no? E perché i fondi stanziati dall’ultima legge di bilancio potranno essere usati soltanto dalle società di calcio e non da quelle di basket?”.
E infine alla domanda, perché le giocatrici in attività oggi non si espongono per ottenere la fine della discriminazione? Passaro risponde duramente:
“Molte non parlano perché temono rappresaglie“.
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